Monografia, in lingua italiana e inglese, a cura di E. Crispolti, F. Boni, G. Montini e R. Torti anno 1992, ed. "G. Corbelli" di Brescia



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VINCENZO BALSAMO


Questa monografia, di 216 pagine edita nel 1992, raccoglie una serie di testi critici che si sono via via redatti
negli anni precedenti. I testi sono stati riportati seguendo l'esatto ordine cronologico di stampa, puoi leggerli scegliendo il Critico che t' interessa maggiormente.

Renato Torti   Enrico Crispolti   Francesco Boni   Gigi Montini
  Enrico Contardi-Rhodio   Giovanni Omiccioli   Angelo Zizzari   Sergio Rossi
  Enzo Di Martino   Marcello Venturoli   Michele Calabrese




RENATO TORTI
Lettera ad un amico



Caro Enzo,

                   l' occasione della tua mostra antologica, sottolineata da una monografia che testimonia la tua lunga carriera di artista scritta da uno dei nostri maggiori critici, mi ripropone la nostalgia di memorie lontane, sempre presenti.

Ci conoscemmo per caso nella metà degli anni '50 da Brandi, il corniciaio-artigiano di Trastevere, a cui avevamo portato i nostri quadri. Eri poco più che un ragazzo, appena arrivato a Roma dalla natia Brindisi ed avevi già conquistato - allora era semplice, era possibile - un luminoso studio che si affacciava sui platani di Lungotevere degli Artigiani. E proprio passeggiando lungo il Tevere, noi che eravamo giovani - io un po' meno di te - squattrinati ma ricchi di sogni, facemmo i primi incontri importanti della vita: Renzo Vespignani, Antonio Vangelli, Ugo Attardi... che come noi, in cerca di ispirazione tiravano la sera. Era il tempo di un' Italia ingenua, con ancora le ferite del dopoguerra, ma già ricca di esplosivi fermenti culturali, della pittura "en plain air" nella periferia romana. Da quelle passeggiate scaturivano i suggerimenti per paesaggi che sono entrati nella storia della pittura italiana. E che prima quindi erano stati "paesaggi dell' anima": il gasometro, i ponti sul fiume, i tralicci della Purfina...

Cominciarono gli anni '60 e Trastevere, così autentica, così incontaminata, divenne la Montparnasse romana, infinitamente preferibile alla convenzionale, patinata eleganza di via Margutta e via del Babuino che attiravano la curiosità dei turisti stranieri. La "vera Roma" si rifugiò lì, gli artisti la scelsero come la loro cittadella, trasformandone le strade in una sorta di "festa mobile" di pulsioni creative e di emozioni cromatiche.

Un ragazzo dal folle, spericolato talento, Angelo Zizzari, dopo un breve apprendistato da Brandi, aprì senza una lira, in piazza Gioachino Belli la "bottega", quella che orgogliosamente definimmo la prima galleria d' arte del quartiere, ma che più verosimilmente era un laboratorio di cornici (per sopravvivere) e che rese noi artisti - tutti clamorosamente poveri - felici per aver finalmente un chiodo pubblico a cui appendere i nostri quadri.
Angelo era un "notturno" e lentamente la bottega - come facilmente avviene in anni creativi e senza pretese - divenne, il polo d' aggregazione non solo di artisti, ma di quella disparata, straordinaria umanità - cocomerari, carrettieri, trattori, sfaccendati, ladri, puttane... che costituiva l' autentica romanità. Lì si giocava a carte, si beveva vino, si "faceva l' arte".

Che anni dolci, romantici, bizzarri! Al calar della sera arrivavano Luigi Bartolini, Carlo Levi, Ugo Moretti, Mario Russo, Sante Monachesi, Toto Vangelli, Pier Paolo Pasolini che lì captò tante intuizioni per memorabili pagine sulla disperata umanità periferica: così come Sandro Penna che, guardando il "vespasiano" sul marciapiede di fronte, compose la celeberrima poesia "proibita": "esce dal pisciatoio il bel ragazzo...". E poi il grande Mario Mafai che, discutendo con noi, decise per interludio ai suoi roventi paesaggi e fiori secchi, la fascinosa serie dei "prostiboli", di decadente splendore. A proposito di quei mirabili "prostiboli", come dimenticare la mostra che lui allestì alla Bottega e che oggi sarebbe impossibile riproporre non solo per la qualitativa compiutezza, ma anche per i costi colossali? Ebbene Angelo Zizzari, che avrebbe dovuto sorvegliarla, se ne andò dietro a una donna e la galleria rimase così aperta con i suoi tesori, protetta solo dall' affettuosa ma casuale attenzione dei vicini. Era il nostro modo di essere giovani. E liberi. "Apprendisti stregoni" - io, tu, Giuseppe Bartolini, Carlo Quattrucci, Gilberto Filibeck, Enzo Tilia, Rodolfo Guglielmi, Salvatore Provino, i fratelli Antoci... - assistevano incantati alle mostre che si succedevano nella Bottega e alla quotidiane discussioni dei "maestri". Che spesso si tarducevano in scoppi d' ira, liti così violente da sembrare fratture insanabili ma che il giorno dopo, immancabilmente si ricomponevano come non fossero mai avvenute, straordinarie - per noi - lezioni d' arte e di vita.

Il passare degli anni e il denaro più facile involgarì la società e quel mondo e imborghesì le idee. L'ingenua Boheme romana si dissolse e gli amici si separarono. Qualcuno fece in tempo a incontrare il successo in vita. Per altri arrivò troppo tardi. Ma la memoria storica dimostrò che ciascuno di loro ha costituito una presenza fondamentale nel panorama culturale italiano di questo secolo.

Ora tocca a te. E il successo per uno che possiede questo bagaglio di esperienza di vita e di tenace dedizione all' arte è forse il fattore più trascurabile.
Che altro posso aggiungere? Ricordati che i miei auguri questa volta - come sempre - hanno qualcosa in più: trantacinque ininterrotti anni di fiducia, di complicità, di affetto.

                                                                                                                       Genzano di Roma, agosto 1992, RENATO TORTI

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Enrico Crispolti

MONITORAGGI DI
FISIOLOGIA FANTASTICA



Ha certamente ragione Enzo Di Martino annotando, un paio di anni fa: "Il 'progetto espressivo' di Balsamo non è quello di fissare immagini statiche sulla superficie del quadro ma piuttosto di rincorrere le 'linee formanti' di immagini che in realtà si intrecciano e si frantumano continuamente, in un processo aperto e mai concluso". E tuttavia quel rincorrere ha luogo sempre rigorosamente su una dimensione pur elastica comunque di superficie, quasi fosse uno schermo rivelatorio sul quale l'intrecciarsi e frantumarsi di forme si configuri, si direbbe si monitorizzi, nella sua evidenza di costruzione pittorica segnico-formale in condizione di sostanziale motilità.
Da metà degli anni Ottanta i dipinti di Balsamo si propongono infatti un' impostazione costante. Sulla superficie, appunto come elastica ma di fatto invalicabile nella sua orditura di trama segnica che la costituisce formalmente, cromaticamente, quale dimensione appunto di frontalità, e valicabile se mai soltanto come indotto sviluppo di spazialità mentalmente immaginabile più che visualmente appercepibile, si manifesta un mobile, danzante, intreccio o meglio incastro di sagome formali, segnate soprattutto dal loro profilo lineare snodato, curvilineo, che tuttavia s' esalta a volte in puntualizzazioni d' accenno evocativo simbolico primario, peraltro determinanti del senso d'immagine che tale intreccio e incastro di sagome inesorabilmente assume. Questo non espanso ubiquitariamente sull' intera superficie ma morbidamente orientato verso una centralità d' evento segnicamente e formalmente quanto luminosamente e cromaticamente protagonista del campo scenico offerto dalla trama questa sì tissularmente uniforme della superficie stessa.
Che è a sua volta dunque istituita non come fondo compatto, quanto appunto come minuziosa trama segnico-cromatica ortogonale, capace do offrire all' impianto stesso dell' immagine protagonista l'intonazione coloristica di base, nel suo schiarirsi, incupirsi, o affocarsi, d' altra parte offrendosi anche come corpo interno alle sagome formali graficamente definite nei loro mutevoli profili. E soprattutto istituendo attraverso la qualità cromatica dei segni una luminosità endogena che la variabile, per quanto appunto di volta in volta piuttosto univocamente intonata, qualità cromatica dell' intreccio ortogonale esalta e trasmette dunque alle sagome formali alle quali offre appunto il tessuto di intera consistenza.
Una tale tipologia d' impostazione costituisce il dipinto di Balsamo quale proposizione d' esiti possibili d' un medesimo costante processo aggregativo tuttavia sostanzialmente aperto e continuamente riformulato, pur su di fatto analoghe mirate prospettive d' itinerario. Offrendocelo dunque quale luogo d' immagine frontalmente formalizzata, di ammiccante cadenza d' analogia disinvoltamente organica, ed esattamente d' un possibile spazio di memoria, maggiormente collettiva nelle sue accennate allusioni, che non di scavo individuale. Una dimensione di memoria del resto del tutto decantata, svincolata da ogni puntualizzazione referenziale occasionale e invece sospinta come in un accenno repertoriale d' archetipi possibili d' una presupposta basica naturalità riattinta liricamente ma persino anche ludicamente. Senza tuttavia alcuno spostamento primitivistico, ed anzi attraverso una loro decisa acculturalizzazione fabulistica formale, una loro designazione recitativa quasi routiniera pur mai spegnendone la freschezza felice dell'a-utentica invenzione evocativa.
In realtà più che uno spazio di memorie Balsamo suggerisce appunto specificamente uno spazio, o meglio uno schermo di attività di memoria, in quanto ordinata e non imprevedibile manifestazione di possibile attività lirica evocativa, come processualità fantastica spontanea, naturale, e dunque continuamente riproposta quale flusso vitale immaginativo di volta in volta in nuove combinazioni riproponentesi. Spazio o schermo di memoria come campo di manifestazione di recupero e riproposizione di una antropologicamente necessaria attività immaginativa, di un campo dunque di attività specificamente poetica, come ricondotta tuttavia al suo principio appunto contro ogni particolarizzazione referenziale di ulteriore snodo narrativo.
Istituzione si direbbe di un contatto con il flusso inesauribile, ma anche in certo modo per Balsamo inderogato, dell'e-vocazione fantastica lirica quale attività strutturale antropologicamente vitale. Non dunque fantasia liberamente evocante, ma quasi si potrebbe ancora dire, evocazione del fantasticare, tuttavia combinatoriamente mirato ad istituire una sorta di fenomenologia del possibile fabulistico entro un basico linguaggio segnico di elementare per quanto decantatissima allusività d'in- treccio eventico (nell' esito individuato d' una motilità d' ingredienti peraltro costanti).
Anche una sorta di oggettivazione formalizzata di qualcosa come un' attività onirica conscia, che utilizza scenicamente il processo aggregativo e di svolgimento automatico, ma entro un preciso e inderogato "progetto espressivo" che attesti appunto di un' attività ininterrotta (giacché continuamente riproposta nei suoi termini costitutivi) dell' immaginare "linee formanti" di combinazione grafico- formali, la cui prevista imprevedibilità segna appunto come su uno schermo di monitoraggio la fisiologia ritmica di pulsazione di un' attività immaginativa vitale, necessaria tanto per l' artista quanto per il fruitore al quale offre tali proposizioni testificanti.
Di qui l' anologia costante d' impostazione dei dipinti di Balsamo, appunto da metà degli anni Ottanta, si direbbe caparbiamente inseguita e in certo modo garantita, in un repertorio di esiti possibili prevedibilmente infiniti. Di continua reinvenzione mirata infatti si tratta, e non certo di ripetizione, che vi sarebbe persino statisticamente improvabile. In effetti Balsamo monitorizza microcospicamente i processi segnico-formali di una sorta di fisiologia fantastica, ogni volta reiventandone la scenografia cromatica che ne caratterizza l' intonazione.
Si è parlato di un suo debito verso Klee, non certo comunque letterale, quanto se mai quale basica opzione introspettiva. Chè anzi sul piano degli spunti segnico-formali le suggestioni appaiono piuttosto miroiane (e in qualche caso particolare anche dal Kandinskji più maturo). Ma con Klee la fenomenologia del lavoro pittorico di Balsamo non spartisce comunque l' incondizionatamente genitico principio formativo, affermando invece piuttosto i diritti di un principio combinatorio formale elementare, tutto proprio. E tuttavia alla lezione di Mirò credo Balsamo sia debitore per quella estroversione inscenata di puntualizzazioni segnico-formali d' accenno simbolico caratterizzanti ogni sua singola proposizione d' immagine. Queste d' altra parte destituite di misteriosità poetica, e caricare invece d' allusività evocativa di fondamento più naturale che non psichico (Vito Apuleo, in un testo pure del 1990, si richiama a "il volo della farfalla, il capriccio delle nuvole, il filo che la mano del bambino regge trepidante seguendo con lo sguardo le evoluzioni dell' aquilone policromo"; e parallelamente Di Martino a "un volto, un microorganismo, un aquilone").
Quelle "linee formanti" costituiscono sull' intrecciata superficie segnicamente tramata in modo del tutto regolare e appunto luminosamente attivante come l' endogena potenzialità di un "display", in questo caso pittorico, di volta in volta una irripetuta fenomenologia di possibili itinerari narrativi equivalenti alla rivelazione dei moti microprocessuali appunto di una fisiologia immaginativa, ogni volta virata cromaticamente secondo possibili diverse cadenze d' umore evocativo, gioioso o riflessivo, e a volte quasi persino drammatico. Non dunque pagine di diario i dipinti di Balsamo, d' un diario naturalmente accidentale, occasionale, ma direi qualcosa come preordinate esecuzioni grafico-formali miratamente tuttavia improvvisate, come si potrebbe azzardare in una libera e tuttavia orientata musicalità da "free.jazz", in un "sound" piuttosto prevedibile ma continuamente diverso e sorprendente. Che poi quelle "linee formative" intreccino costantemente i loro eventi narrativi in una sorta di bioformismo mentale, di episodi d' un inesaurito racconto estremizzato in sintesi immaginativa segnico-formale, fa parte della natura di testata proposizione, da ogni dipinto di Balsamo assunto, dell' esistenza appunto di una naturalità d' attività fantastica che egli indubbiamente nel proprio privato ascolto interiore afferra e riafferra, e che tuttavia ordinata iconicamente propone infatti quale indice d' un possibile spiazzamento immaginativo liricamente gratificante, partecipabile ugualmente da parte del suo lettore. E nel quale racconto, entro l' intonazione umorale basica determinata appunto cromaticamente dalla qualità coloristica dell'intreccio segnico di fondo, sviluppa suggestioni diverse, e non mi sembra necessariamente di riferimento lirico sentimentale evocativo, quanto di possibili combinazioni allusive (tuttavia anch' esse in certo modo repertoriabili) entro le quali opera anche spesso una sottile declinazione ironica.
Larghi itinerari di intrecciati profili lineari che, se compenetrano gli accenni formali, sostanzialmente appunto biomorfici, si puntualizzano dunque in minuziosi episodi di risalto più acuto, che appaiono decisivi sotto il profilo narrativo. Itinerari che evidentemente Balsamo determina utilizzando funzionalmente un processo d' automatismo inventivo, non concedendo tuttavia a questo altro margine che la libertà combinatoria segnico-formale, al fine appunto di una scenicità di proposizione corale dell' aggregazione dell' immagine, risolta infine nell' addensarsi, s'è detto in decisive occasioni d' allusività simbolica puntualizzato, dell' intreccio segnico-formale dispiegato. Di qui anche quell'apparenza di "indicibile autosufficienza" che i dipinti di Balsamo dell' ultimo ormai piuttosto lungo periodo costantemente e appunto caparbiamente manifestano. E credo abbia ancora ragione Di Martino ad avvertire: "Paradossalmente dunque, non esiste una possibilità di 'lettura' dell' opera di Vincenzo Balsamo ma , semmai, la semplice opportunità 'di perdersi nella sua contemplazione'".
Intorno al 1985 la ricerca pittorica di Balsamo è approdata alla strutturazione sulla quale è venuta assestandosi negli anni sucessivi, e finora: trame disegnate, compenetrazioni di sagome di immagini evocate. Poco prima l' incontro credo orientativamente decisivo con l' universo segnico-formale introspettivo di Klee. Vi era approdato attraverso un lavoro più propiamente sulla scomposizione dialettica di configurazioni formali sufficientemente compatte nella loro impostazione cromatica, espanse sulla superficie. è avvenuto lungo i primi anni Ottanta, segnatamente sottolineando la conquista definitiva d' uno spazio di memoria, evocativo, che a sua volta si era cominciato a configurare nella ricerca di Balsamo alla fine degli anni Settanta (intorno al 1978), per l' esattezza in una particolare e tutto sommato episodica esperienza di impronte indirette (di corde sopratutto) entro un tessuto pittorico risolto interamente all' aerografo (senza effettivo rapporto mi sembra con le esperienze strumentalmente similari di Cagli), ecc., in un' implicita spazialità di riferimento memoriale.
Se l' esperienza dei primi anni Ottanta, di impaginazione compenetrata di forme a costituire un' immagine contripeltamente evidente, è venuta ad offrire un archetipo di modalità d' impianto compositivo ai dipinti sucessivi, ove tuttavia le entità formali si sono graficamente allegerite cedendo inoltre il compito della loro sostanziazione cromatica appunto alla trama segnico-colorata di base, tuttavia a sua volta un precedente pur remoto ma significativo di una disponibilità ad identificare la consistenza della superficie pittorica in trama grafica, nella ricerca di Balsamo allora ancora in fase d' assestamento sperimentale, si è manifestata ancora prima, esattamente in quel lotto di dipinti del 1977 risolti in polverizzazioni microsegniche sull' intera superficie, individuandovi sottili itinerari e grovigli. Sono esperienze presupposte alla maturazione decisiva del suo lavoro appunto da metà degli anni Ottanta. Premesse anche remote, e tuttavia significative, l' una per la definizione d' una mentalità d' impianto compositivo dell' immagine, l' altra per un' attenzione tissulare costitutiva della superficie pittorica stessa.
A proposizioni non-figurative d' altra parte Balsamo era giunto da verso metà degli anni Settanta, costituendo pure entità formali prevalentemente curvilinee nei loro profili (che intitolava Composizione astratta, numerandole) del tutto disposte sul piano. Aveva alle spalle una quindicina d' anni di pittura figurativa, alla fine degli anni Cinquanta e inizio anni Sessanta manifestatasi in modi di qualche richiamo "romano" in un fare corsivo (sopratutto ritratti) cromaticamente piuttosto rastremato nell' attenzione locale e tuttavia vagamente ancora di cultura tonale. Poi espressionista in altri ritratti e in paesaggi (alcuni toscani) nei primi anni Sessanta e oltre, fino a squadrate nature morte, più costruite, cromaticamente risaltanti pur in stesure piuttosto larghe e quasi deliberatamente grezze (intorno al 1967). Quasi "neofauve" ma più costruito, in altri fra il 1968 e '70, mentre nei paesaggi sintetici si affidava più liberamente alla costruttività del colore (forse con qualche suggestione dell' ultimo Mafai figurativo). All' inizio degli anni Settanta un impianto mutuato da sintesi postcubiste gli ha fornito l' approdo progettuale sul piano in nature morte (1972 e '73) a zone piatte curvilinearmente contornate, di colore sempre piuttosto grezzo nella stesura, assai acceso. Offrendo i presupposti alla risoluzione non-figurativa che nel suo lavoro si manifesta appunto nel 1974, confermandosi l'anno seguente nella proposizione, quasi in termini "concreti", di un impianto formale puro a costituire un' immagine compatta risaltante sul fondo. Un' immagine costruita attraverso una compenetrazione di elementi formali, in un cromatismo assai acceso, e tuttavia con qualche inflessione anche di eco tonale.
Ma sono per Balsamo ancora anni di sperimentalismo, e infatti nel 1976 eccolo proporre invece una dispersa definizione segnico-materica della intera superficie, fino ad alcuni dipinti materici neri indubbiamente molto suggestivi (intitolati Decomposizioni), ove sono evidenti attenzioni al primo Burri, materico. Superfici materiche uniformemente nere ove affiora l' inserimento di frammenti oggettuali od ulteriormente materici. Un passaggio qualitativamente rilevente nel lavoro di Balsamo, anche se piuttosto estraneo nell' ottica di una traettoria che porti alla ricerca recente; salvo non si voglia comunque salutare un esercizio di possesso appunto dell' intera superficie e una messa in prova del costellarvi dispersi segni maggiormente significanti. E poi l' anno seguente appunto le polverizzazioni a microsegni sempre sull' intera superficie, e nel 1978 le sperimentazioni di superfici all' aerografo con impronte indirette, in accenni di immagini, segni, ecc., e appunto la conquista di una dimensione di memoria. E siamo alle esperienze che nei primi anni Ottanta costituiscono la traccia della modalità costitutiva combinatoria per intreccio ed incastro, che porta alla tipologia più nota del lavoro di Balsamo, da metà degli Ottanta, e delle cui originali caratteristiche s'è detto.
Ho incontrato per la prima volta queste sue recenti proposizioni alcuni anni fa sulle pareti di uno stand di ArteRoma. Richiamato da quell' evidente margine di loro singolarità e autenticità di scrittura pittorica, pur in un impianto apparentemente di sfida decorativa. Ma leggere decorativamente i testi pittorici di Balsamo equivale non intendere sostanzialmente il senso di quella loro ineccepibile inventiva varietà d' esperienza, individuata ed irripetuta per entro una costante modalità presentativa. Da considerare tuttavia questa appunto come la scelta di una tipologia di controllato e ordinato monitoraggio di manifestazioni irripetute di fisiologia fantastica, sottilmente allusive e fabulisticamente poetiche. Nè si tratta di varianti d' un medesimo impianto formale, quanto di una caparbia continua reinvenzione di appunto monitoriati possibili itinerari segnico-iconici di fantasia a suo modo capziosamente evocativa.

                                                                                                                           Roma, giugno 1992, ENRICO CRISPOLTI

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Francesco Boni

BALSAMO, ESTETICA E POETICA,
SUGGESTIVO LINGUAGGIO DI VITA E POESIA



Quasi cinque secoli sono trascorsi da quando Leonardo scrisse: "Esperienza, madre di ogni certezza", al suo tempo l' illusione della certezza era ancora possibile, oggi, chi ha un minimo di esperienza aristica e crede di conoscere bene i creatori della cultura ed è soprattutto abituato a meditare su ciò che ha fatto, studiato, pensato o scritto, sa bene che le scienze e le arti progradiscono solo nella coscienza della propria incertezza. Le grandi filosofie del nostro tempo (l' Esistenzialismo fino ad Heiddegger, la suola analitica di Oxford, quella di Francoforte), le analisi strutturali, linguistiche, comonicative, psicologiche, politiche, antrapologiche balbettano. Nelle scienze ogni anno una nuova ipotesi teorica mette in crisi le meraviglie delle formulazioni precedenti. In fondo i primi incerti e timidi passi dell'a- stronauta scolpiti nella nostra memoria visiva nel momento della scoperta del nuovo mondo diventano l' immagine simbolica del nostro io, dell' uomo attuale, alla soglia della nuova epoca che ci apprestiamo a vivere ed è in questo momento che il nuovo mondo diviene d' incanto meraviglioso perché tutto da scoprire.
Il dipingere, il fare, l' operare di Vincenzo Balsamo si inseriscono perfettamente in questa fase del pensiero, nel momento in cui trovano ragione di esistere nella coscienza teorica del passato e nella constatazione delle incertezza del divenire per esplodere in una pittoricità dell' azione che ci esalta nella scoperta di una realtà sempre nuova e transuente. Le barriere che Pavese amava mettere tra la terra nota e quella da scoprire sono crollate, il presupposto conosciuto è progressivamente più incerto. Una sola cosa è assolutamente vera, perennemente giovane, sempre all'avanguardia: l' arte. Un graffito preistorico, un vaso protogeometrico, un affresco egizio, una scultura greca, un mosaico bizantino, una vetrata di Chartes, le opere di Giotto, Masaccio, Piero della Francesca, Giovanni Bellini, Raffaello, Tiziano, Rembrandt, Vermeer, Manet, Renoir, Cezanne, Matisse, Picasso, De Chirico, Pollock, Warhol, Festa, escludo i viventi, hanno una cosa in comune, sono assolutamente vere, sono assolutamente belle, nel senso che nulla in loro è perfezionabile, nulla in loro è scaduto, mentre le scienze che si presumevano basate sul vero, sul logico, sul verificabile, vengono continuamente superate. Queste premesse sull' eterna giovinezza dell' arte e sul progressivo scadimento delle cognizioni scientifiche se ritenute immutabili, mi sono necessarie prima di entrare negli obiettivi, nei metodi di lavoro e nei risultati ottenuti da un artista come Balsamo, che si inserisce in questo discorso come punto di arrivo, se interpretatostoricamente, e punto di partenza nella esternazione del dubbio creativo, così come mi è necessario proporre un' altra premessa che riguarda il rapporto vivissimo in Balsamo tra estetica e poetica. L' estetica è il discorso sul bello e sull' arte visti dall' esterno, la poetica è il discorso sulle due stesse cose viste da "dentro"; la prima è dominio dei filosofi e dei critici, la seconda degli artisti; in fondo la prima è uno strumento di conoscenza, la seconda uno strumento di lavoro. Nella cultura italiana normalmente le estetiche tendono a stabilire i rapporti dell' arte con la struttura della comunicazione, o includendola o escludendola o, come più spesso accade, mettendola tra parentisi. Tutte teorie strane e vaghe se confrontate con le teorie scientifiche. In effetti un prodotto tecnico è sempre il risultato esatto di più teorie scientofiche mentre l' opera d' arte rispetta solo in parte la teoria poetica che la forma; infatti se la rispecchiasse fedelmente essa scadrebbe ad illustrazione della teoria stessa e come tale perderebbe la sua validità di opera d' arte
Balsamo è perfettamente cosciente di tutto ciò e citando Gide sostiene giustamente che in arte la soluzione anticipa il problema, vale a dire che la teoria di un artista, cioè la sua poetica, nasce come riflessione sul nuovo lavoro fatto e in parte come progretto su quello da fare. Se un artista nel momento in cui si mette al lavoro si "serve" delle "sue" teorie o di quelle di altri è sicuramente un mediocre, forse un accademico certo nulla più che un illustratore; delle teorie ne deve tener conto solo in parte, cosciente che l' essenziale verrà attraverso il fare, attraverso il lavoro, da dentro di lui, dalla sua capacità creativa costante che lo distibgue per questa caratteristica da ogni altra specie di vivente.
Ecco la ragione per cui Balsamo dipinge, la necessità del fare, la necessità di esprimere se stesso attraverso il segno con la piena coscienza che ogni teoria è solamente provvisoria, adogmatica, un che in cui credere e da non credere al tempo stesso. In Balsamo e in tutti noi a questo punto sorge spontanea una domanda, come è possibile che l' arte permanga valida mentre le poetiche che l' hanno presupposta sono in parte decadute? Quasi nulla delle teorie proposte da Piero o da Leonardo sopravvive se non in chiave storica, nè molto delle teorie di Kandinskj, Malevic, Mondrian, Seurat è utilizzabile oggi; nonostante la vasta ed intelligente opera d' insegnamento non un grande artista si è formata alla scuola di Klee. Questa è l' ennesima dimostrazione che dalla conoscenza teorica al massimo nasce un manierista, nel migliore dei casi un manierista di genio come Tintoretto che voleva unire la tecnica del disegno di Michelangelo alla tecnica del colore di Tiziano. In realtà l' arte supera infinitamente qualsiasi forma teorica e vive del fare, del creare di ogni artista che si proponga con autentica ispirazione e capace di esporre il suo "io" autonomo attraverso il dominio dello strumento tecnico. In fondo Balsamo è perfettamente cosciente che i soli veri progressi di un artista, fatta propria la fase dell' ispirazione, sono nella padronanza della tecnica acquisita attraverso il lavoro, lo studio e soprattutto l' esperienza attiva. Solo in questa fase l' artista acquisisce la più completa libertà, senza confondere il progresso con la trovata, con il gadget, con il fare una cosa nuova. Spesso si è portati a confondere "stile" con "originalità". Lo stile è una dura conquista, non elimina il passato ma lo supera, l' originalità può essere confusa con la moda, non progradisce, varia solamente, spesso è frutto più di una programmazione teorica che di una intuizione e per questo probabilmente piace molto al mondo del consumo di massa.
Balsamo è pittore e uomo del nostro tempo che queste problematiche ha vissuto sulla sua pelle, le ha fatte proprie fino alla manifestazione di una coscienza autonoma. Quando si scrive di pittura e quando si propongono come problematiche questi argomenti, che sono l' essenza di Balsamo pittore, i contenuti proposti possono essere i più diversificati e giustificati, l' unica affermazione impossibile da sostenere è che la sua espressione d' arte non faccia "discutere" in quanto propone elementi fondamentali nel dibattito artistico. è certo che la sua pittura sia da considerare assolutamente "diversa" da quella oggi celebrata dal diffondersi delle mode, dei cenacoli e dei salotti culturali, ed al tempo stesso, la sua maniera di esprimersi, intensa, viva, straordinariamente densa di sostanze, di spunti, di intelligenti collegamenti tra il presente ed il passato di tutti noi è totalmente indiscibile dalla coscienza della nostra sensibilità. Una pittura dunque da un lato autenticamente radicata nel "sentire" il passato pur se derivata, tramite il filtro di una affilattissima e consumata sensibilità, dalle circostanze più attuali, forse eterne, dell' esistenza. Ed è proprio per questo che le sue immagini, il suo modo di esporre al tempo stesso spontaneo ed assorto, fresco, ed insieme meditatissimo di concepirle ed enunciarle sulla tela, fanno "discutere" ed appaiono totalmente "diverse", forse addirittura "fuori posto" rispetto alla grande maggioranza delle enunciazioni del nostro tempo. La ragione di ciò sta nel fatto che Balsamo non dipinge per il piacere di piacere nè tanto meno insegue il successo per il successo, la sua ansia di comunicare e dunque anche le circostanze della sua carriera, il destino pubblico del suo lavoro e delle sue ricerche, sono affidati ad un diverso rigore, più intimo, geloso e segreto, come del resto è sempre accaduto ed accade per ogni vero, autentico artista in ogni epoca ed in qualsivoglia cultura. Sono affidati, cioè, proprio alla consistente sostanza poetica dell' immagine, quel meraviglioso e struggente equilibrio tra manualità ed intuizione, tra creatività e pienezza del sentimento che distingue l' opera di un illustratore o di un artigiano da quella di un vero artista. E sono nutriti, inltre, di una densa cultura pittorica, da uno sguardo affettuoso ed attento verso alcuni grandi maestri del nostro recente passato che Balsamo, artista precocissimo, coltiva da sempre in un rapporto tutt' altro che libresco o nozionistico con le loro opere. Un rapporto (per carità, ben lontano dal "citazionismo" deliberante di alcuni vacui riscopritori attuali della pittura) che ha innervato profondamente le sue immagini e la loro crepitante tattilità, contribuendo a definire il particolarissimo e irripetibile sapore del loro fascino, della loro penetrante capacità di suggestione. Il miracolo è quello di realizzare un simile sottile, inedito equilibrio senza che mai l' operazione divenga prevaricante, divenga mera operazione di linguaggio, cioè frutto di un progetto stilistico programmatico, voluto ed enfatizzato come tale. Al contrario, l' intreccio dei colori e degli spazi, la resa di impressioni luminose e delle loro connessioni, i ritmi compositivi, i corposi pigmenti scorrono e si definiscono dall' immaginario dell' autore verso la superficie del dipinto sempre con straordinaria naturalezza, nella compiutezza di un accento ormai maturo e pieno. In un certo senso si può affermare che il segreto fascino della pittura di Balsamo è proprio qui, nel cuore antico della sua enunciazione cromatica, in queste sue radici di poetiche e sensibilità ritrovate e restituite a nuova vita sulla base delle esperienze coloristiche e concettuali del nostro secolo. L' arte per lui non è mai fine a se stessa, non si esaurisce nel mero estetismo e diviene il frutto palpitante del pensare, del fare, tradotto dall' artista nel segno come sintesi di un rapporto poetico tra le cose e l' esistenza.
L' arte non ha tempo e luoghi prefissati ma vive in una sua intima "durata" una sua moralità di fondo che si propone costantemente in superficie e che si riforma in ogni circostanza della realtà umana. Ecco perchè i termini dell'operare di Balsamo vivono insieme, antichi ed attualissimi, profondamente autonomi ed al tempo stesso parte integrante di una sedimentazione, di una continuità di un percorso che viene da lontano. Eppure l' attualità vive fortemente nelle sue "connessioni" anzi, ne costituisce il baricentro, il riferimento permanente d' ispirazione, una realtà non solamente oggettiva ma che piuttosto è sintesi della nostra vita interiore. Una attualità mentale quasi domestica, quotidiana, la capacità di tradurre in un diario gli affetti e le emozioni di tutti i giorni, come gli accadimenti minimi che ritmano la vita dell' autore nel contatto con il mondo che viviamo e che ritroviamo nelle nostre ansie e paure di uomini del nostro secolo. Ma soprattutto si tratta di un' attualità capace anche, per sua intima virtù poetica, di caricarsi di valenze a largo respiro metaforico, di echi complessi, di sentimenti generali. Così le stanze e gli oggetti di casa, la famiglia, i momenti della giornata, i luoghi consueti dell' esistenza divengono un pretesto per riflettere per ripercorrere autobiograficamente il proprio vissuto e, insieme, si svolgono in tracce di un fare ed espressioni di un esistere emotivamente consapevole di una complessità universale. Ed ecco che gli affetti e le inquietudini, le memorie, gli allarmi, i sogni e gli abbandoni che circolano pacatamente tra questi segni e questi colori nella loro tenera e consapevole concretezza lirica, parlano sempre a chi sappia prestare orecchio non frettoloso un intenso, vibrante, suggestivo linguaggio di vita e di poesia.

                                                                                                                  Fiuggi, 2 settembre 1992, FRANCESCO BONI

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Gigi Montini

VINCENZO BALSAMO ovvero
INNOVAZIONE SENZA RIVOLUZIONE



"Per suprematismo intendo la supremazia della sensibilità pura nelle arti figurative.
... Mi sembra che l' arte di Raffaello, di Rubens, di Rembrandt ecc., per la critica e per il pubblico non sia altro che una concretizzazione di "cose" innumerevoli che ne hanno reso invisibile il vero valore racchiuso nella sensibilità ispiratrice. Soltanto l' ammirazione per la virtuosità della rappresentazione oggettiva è rimasta viva"...
Il concetto esposto è tratto fedelmente dall' opera teorica di Kazimir Malevic "Il suprematismo come modello della non rappresentazione" pubblicato nel 1920.
La questione che si pone dopo questa premessa mi sembra abbastanza chiara: in pittura è più importante la rappresentazione o l' implicazione? è più bella l' opera realizzata tecnicamente in modo perfetto o quella dove comunque si leggono allusioni o contenuti? Il dilemma si direbbe irrisolvibile anche perché la diversità di gusti, di cultura e di sensibilità di ognuno di noi complica non poco le cose.
Impostiamo allora il nostro problema in modo diverso sempre tenendo conto che il proposito è quello di trovare un modo nuovo di fare pittura senza però tenere posizioni assolutistiche. Disegno e colore sono i presupposti di un'opera pittorica, ma queste due componenti hanno funzioni ben diverse: determinante il primo se si raffigura, il secondo se si crea. Con il primo si può giungere ad un punto di perfezione che limita l' evoluzione, con il secondo invece si ha la possibilità di attingere ad una gamma infinita di stesure e dosaggi senza raffigurare.
Ed eccoci arrivati a quella che è stata la scelta, o meglio ancora la maturazione di Vincenzo Balsamo. In possesso di doti che gli hanno permesso di fare pittura tradizionale fino al realismo più impeccabile, Balsamo ha via via sfrondato la sua opera di dettagli grafici ed ha iniziato a costruire i volumi con una definizione tonale; da grande appassionato ha intuito che l' evoluzione pittorica doveva propendere per il colore con il quale la sua eccezionale sensibilità gli dava modo di realizzare la grande spinta innovativa che lo animava.
Larghe stesure in accostamenti coraggiosi prima, addolcimenti graduali, fitti reticoli poi, portano Vincenzo Balsamo fino alla realizzazione di quella pittura che diventa tipicamente sua e che, forse inconsciamente, diventa l'applicazione più bella, complessa, articolata ed armonica di quello che un grande teorico del futurismo e pittore futurista, Fillia, definì orfismo, ossia: "colore soggetto, denamismo plastico, musicalità del quadro".
Il colore è interprete unico dell' opera di Balsamo e lo diventa in modo più marcato e più gradevole perché in ogni parte è evocato con una sorta "pointinisme" sovrapposto. Il dinamismo è realizzato con l' intrecciarsi arioso e libero di un filo che è come la traccia lasciata sulla tela da un incostante e morbido volo di farfalla: quell' intreccio determina innumerevoli moduli nei quali le varianti tonali sono infinite.
La musicalità che ne deriva è armonica sempre: qualche volta con trilli argentini, altre con timbri sonori, altra ancora con larghi solenni.
Io penso che definire Vincenzo Balsamo pittore capace di applicare in modo unico ed inimitabile la pittura non sia opinione ardita. Penso inoltre che Balsamo abbia risolto i problemi di Malevic e chiarito i concetti di Fillia nel modo più semplice e chiaro possibile: facendo il pittore. Ha maturato ed affinato le doti naturali, ha sperimentato e ricercato la tecnica, ha concretizzato ciò che la curiosità, la sensibilità e la fantasia gli hanno suggerito da sempre.
Chissà cosa vedremo noi che pensiamo ai blu, ai rossi, ai gialli ed alle terre come colori puri, semplici; chissà cosa vedremo perché le varianti in colore sono infinite, ma soprattutto sono ancora infinite la passione e la fantasia di Vincenzo Balsamo, pittore ed artista che nel colore e con il colore ha trovato un linguaggio inconsueto e straordinariamente esplicito e suggestivo.

                                                                                                     Madonna di Campiglio, 10 agosto 1992, GIGI MONTINI

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Testo critico, di Contardi-Rhodio, di presentazione per la Mostra alla Galleria "Il Camino" di Roma nel 1961.

VINCENZO BALSAMO

A ventisei anni, questo sincero e fervoroso artista ha già dato prove di una maturità che altri, assai più tardi e assai più difficilmente, riescono a raggiungere.
Vincenzo Balsamo, nato in terra di Brindisi e venuto a Roma da ragazzo, ha studiato presso la Scuola d'Arte di Via S. Giacomo, dove il suo temperamento ha avuto bisogno piuttosto di freno che non di guida. Giacché il giovane pittore appartiene alla schiera degli artisti nati, per i quali la disposizione all' arte è cannaturata e che, irresistibilmente sono "invasati" dall'Arte e per l'Arte debbono esclusivamente vivere, a costo di sacrifici, di rinunce e di sofferenze.
Gli smaglianti dipinti che Vincenzo Balsamo presenta in questa sua prima personale romana sono la più genuina testimonianza del valore della sua arte e sono anche dimostrazione di quanto può una mente creativa sorretta dalla volontà e dalla serietà di applicazione. Si sprigiona, da ognuna di queste belle tele, un concerto cromatico sonoro e armonioso, cantico di freschezza, di serenità, di gioia pànica, imperniato sul trionfale aspetto della Natura, doviziosa e venusta; che il giovane artista ama, è visibile, con amore di predilizione e non si stanca di riprodurne le sempre nuove bellezze. I paesaggi formano infatti il nucleo più importante di questa cospicua mostra: e nei paesaggi Vincenzo Balsamo dà la misura del proprio talento e del grado artistico da lui raggiunto. le mirabili armonie coloristiche, la preziosità di certi toni e dicerti passaggi, la difficile interpretazione dei verdi, soprattutto, l' atmosfera vibrante, la luce proveniente dal punto esatto ed illuminante con non minore esattezza le zone che ravviva o lascia in ombra, senza alcuna discordanza e senza il banale approssimativo di troppi pittori di oggi, irrispettosi dell' arduo gioco delle luci, come sono irrespettosi di ogni altro canone estetico e del rigore della logica.
Uscito dall' impressionismo, Vincenzo Balsamo ha raggiunto una maniera propria, che nella sua intenzione non sarà probabilmente quella definitiva, ma che è già sostanziosa ed onesta, frutto di ricerche, di studi, di ansie giovanili.
La pennellata è quasi sempre larga e la materia abbondante, pur non essendo eccessiva; il cromatismo è ricco e armoniosamente intonato al vero ed alla inevitabile trasformazione poetica che ogni artista autentico ne fa inconsciamente: l' insieme di ogni opera è sapientamente equilibrato e l' occhio e l' animo dell' osservatore vi trovano diletto come dinanzi ad ogni spettacolo di serena e schietta bellezza, mentre un più rigido competente non può non ammirare le singolari armonie e l' indubbia perizia di un mestiere poggiato su serenissime basi. Quegli arditi toni violetti della grande tela che ha intitolato "Gli amanti" non sono certamente frutto di incontri casuali; e così quei verdi smeraldini dei vari paesaggi campestri, e quelle riuscite tonalità, e quei passaggi dai toni caldi a quelli freddi senza discordanze nè inverosomiglianze (vedi i deliziosi paesaggi della campagna romana, dei colli Albani, della regione campana), sono tutti elementi esplicativi di un' arte che, per essere fresca come di acqua sorgiva, non è meno risultato di una serie ed intensa preparazione, e, come tale, meritevole di ammirazione sincera e di non meno sinceri e giustificati elogi.

                                                                                                                               (1961) ENRICO CONTARDI-RHODIO

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Testo critico, di Giovanni Omiccioli, di presentazione per la Mostra alla Galleria "I Volsci" di Roma nel 1966.

VINCENZO BALSAMO

Se alla pittura di un artista gli si toglie di dosso quella polemica che molti oggi usano fare, giusto per dire una cosa qualunque, ma che niente costruisce mentre invece distrugge; se questa pittura la si spoglia dai pettegolezzi e dagli orpelli; se la si isola dall' isterica megalomania di un qualunque tizio in vena di pensare soltanto di un suo programma; se infine questa Pittura riesce a divincolarsi da un qualsiasi manifesto oppure da una qualunque politica dell' arte, e queste ultime due già sarebbero una bella conquista per me artista; cosa rimane di questa Pittura? Dovrebbe rimanere soltanto questa, se questa è tale, in forza di sè stessa, per quello che direttamente senza intermediari ci vuole raccontare.
Altrimenti rimane un soliloquio. Fare della pittura quindi non significa soltanto comprare colori, pennelli e dipingere.
La pittura è soltanto tale quando nell' interno di un artista vi abita lei stessa.
Oggi è epoca di smarrimenti, dicono alcuni, altri affermano che è drammatica, oppure angosciosa. E per questo si dovrebbe giustificare tutto ciò che si fa senza un minimo di ordine? è naturale, che con ordine non vuol dire dipingere con compassi e righe alla mano, ma con quell' ordine diretto a costruire piuttosto che non teso a disfacimenti, a manifestazioni decadenti che nulla più hanno a che fare con tutto ciò che noi dovremmo riconoscere a prima vista, senza una spiegazione filosofica, o attraverso un linguaggio astruso e incomprensibile. Soltanto allora per queste ragioni si può capire perché l' insufficienza prenda il posto del pennello e la sciatteria quella dei colori: non c'è altra via d' uscita, ma tutto ciò basta! Pare ben poco questo.
La Pittura non è mai un' avventura qualunque. Balsamo innegabilmente con la Pittura ha anche lui dei fatti personali, ma in quale misura!
In questa Pittura di Balsamo che io vedo per la prima volta, c'è questo desiderio di misura di normali indagini, questa attenzione dei sentimenti, che malgrado tutto sono ancora nell' uomo, c'è l' attenzione di uno che guarda ancora come sono veramente le cose e non come chi se le immagina senza neanche farci caso; e questo non si chiama dedizione all' arte, ma direi rancore e disprezzo verso questa.
Qui dovrei fare un accenno ai dipinti esposti, ne nomino uno che più di tutti mi ha colpito. Non può bastare forse un buon dipinto solo per riconoscere se un Artista sa cosa significhi la Pittura? Io direi di sì. Mi riferisco al dipinto del temporale; ed ancora ad un' altro, quello di un omaggio a Mafai.
Ci ricorda questo, oltre che la scomparsa di un caro amico, quell' attenzione verso una Pittura che non è affatto scaduta nel tempo. E accorgersi di questo è sempre un buon segno, quello di dire sì alla buona arte e no a quella che oggi circola indisturbata e maramaldeggia insolentendo chi ha la disgrazia di imbattersi in questa.

                                                                                                                                      (1963) GIOVANNI OMICCIOLI

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Testo critico, di Angelo Zizzari, di presentazione per la Mostra alla Galleria "Zizzari" di Roma nel 1963.

VINCENZO BALSAMO

Tema prevalente della sua pittura è il paesaggio toscano, che ha saputo, forse involontariamente, caricare i forti colori, attraverso i quali si può peraltro identificare la naturale, istintiva esplorazione che gli viene dalla sua origine.
Noi crediamo, perciò, che al di là di ogni timidezza o realtà il Balsamo si sia espresso in maniera prettamente emotiva, lontano così da qualsiasi attaccamento a scuole o maestri, riuscendo a fondere il bianco tenero e profondo della sua terra natia, facendo brillare di luce interiore il paesaggio freddo della Toscana. Per esempio, il quadro di piccola dimensione "Colline a Fiesole", colmo di verde e d'azzurro con quell' aurora che quasi sembra non dovesse mai venire.
La sua timida figura, la singolarità che insieme contribuiscono a delineare la sua personalità, spiegano le ragioni per le quali il giovane Balsamo presenta le sue opere senza farsi precedere da alcun bagaglio di critiche, scevro com'è di appoggi e di riconoscimenti ricercati, perché consapevole, lui autodidatta, che il migliore responso gli potrà venire soltanto dall' attenzione che gli riserveranno la critica e il pubblico: preziosi giudici ai quali Balsamo affida serenamente l' obiettiva contemplazione della sua opera.
                                                                                                                                         (1963) ANGELO ZIZZARI

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ENZO DI MARTINO


Il segno, la luce e il colore sono gli elementi con i quali Vincenzo Balsamo mette in atto la sua partita espressiva. Si tratta di un' operazione che l' artista realizza nel segno della grazia e leggerezza, lasciando emergere immagini che sembrano scaturire da un sogno, "il luogo nel quale convivono le linee della geometria e quelle della fantasia".
Il segno delinea le forme, il colore connota il campo emotivo, mentre la luce smaterializza la visione che solo apparentemente risulta inoggettiva.
In realtà, volti, microorganismi e qcquiloni prendono consistenza e forma sulla tela in un processo che tuttavia non possiede alcuna preoccupazione descrittiva o narrativa. L' opera pittorica di Vincenzo Balsamo assume per tale via la connotazione di un canto fantastico e poetico.

                                                                                                                                            (1990) ENZO DI MARTINO

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MARCELLO VENTUROLI


Quel consumato e poetico architetto della notazione sensibile, ereditata dagli Impressionisti e grande interprete delle avanguardie storiche, che risponde al nome di Vincenzo Balsamo. L' artista piace innanzi tutto per la sua grinta professionale, per quel suo modo di mettersi di fronte all' immagine, col filtro dell'astrazione divisionista, senza accettare, se non come suggerimento polivalente, l' apporto della natura.

                                                                                                                               (1991) MARCELLO VENTUROLI

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SERGIO ROSSI


VINCENZO BALSAMO

Vincenzo Balsamo è un pittore che ha percorso un lungo viaggio artistico, avendo egli preso le mosse da un figurativismo denso e corposo, ancora remore degli ultimi esiti della «scuola romana» ed essendo approdato, attraverso l' astrattismo e l' informale, alla sua attuale cifra espressiva.
Quello odierno è uno stile assai complesso che ingloba diverse esperienze e procede per gradi sovrapposti, attraverso un lento avvicinarsi di segno e colore che finiscono per fondersi in un insieme omogeneo.
In Balsamo infatti la luce si fa segno ed il segno si fa luce, compenetrandosi in una osmosi espressiva che gioca la sua partita sul terreno fantastico del surreale. Egli graffia ed incide la materia fino a dipanare un labirintico filo di Arianna che preso nal vortice del segno man mano muta la sua veste riempiendosi di luce, luce che diviene colore, colore puro che torna però alla sua origine segnica.
Artista isolato, Balsamo non fa parte di alcuna corrente e spinge avanti la sua ricerca personale nella quale forma e colore si compenetrano, così come il ricordo dei maestri del passato (da Klee a Rothko) convive con una fervida fantasia intellettuale.


                                                                                                                                            (1989) SERGIO ROSSI

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MICHELE CALABRESE
VINCENZO BALSAMO

Certamente molto cammino ha percorso, e non tanto agevole neppure, Vincenzo Balsamo da quei lontani anni Sessanta quando le Edizioni del Poliedro (quanto dire il sottoscritto e Ugo Mannoni) gli dedicammo una prima consistente
monografia.
È cambiato il mondo. Siamo cambiati noi. Sono pure cambiate certe posizioni artistiche.
Uomo dell' estremo Sud, Balsamo privilegiò certo naturalismo, vuoi nei paesaggi che nelle nature morte e nelle figure.
Poi, fu la Francia. Ricordo con quanto interesse, ancora giovine, mi seguiva attraverso la mia itinerante curiosità. Da un Museo all'altro. Da un Artista all' altro. Il Gran Palais a Parigi, il Museo Picasso ad Antibes, la Fondation Maeght a Saint-Paul de Vence, la Fondation Léger sulla Costa Azzurra. E, poi, le conoscenze: Hartung, Peverelli, Max Ernst, Magnelli, Campigli, Verdet, Arman, Tozzi; per citare soltanto quelli che mi vengono in mente.
L' astratto, l' informale. Il gusto spietato ed assoluto per il colore. Klee, Kandinskji? Che mai importa?
I colori, tuttavia, sono sempre e soltanto quelli di Roma. C' entra pure - e come no? - il rosso della pozzolana ormai desueto e tradito dai moderni rifacitori (o restauratori?)
Ancorché Balsamo custodisca nel cuore, come un prezioso salvacondotto i colori della sua Puglia (sua e mia, intendiamoci) egli non tralascia mai quelli di Roma. I suoi amori per Mafai, Omiccioli non possono assolutamente essere relegati nel soffitto.
La "Scuola Romana" ha lasciato tracce indelebili nella sua opera, nella sua pittura anche se essa, oggi, si libra verso diversi cieli.

                                                                                                                                        (1991) MICHELE CALABRESE

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