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I. 
           
 Per Vincenzo Balsamo, si è detto di recente, si verifica quanto Satre diceva per Giacometti, e 
cioè che l' artista "parla sempre di sè; e, divorandolo, ignora il riguardante". In realtà;, raccontando la 
sua vita, Balsamo domanda soprattutto osservatori disposti freudianamente alla "simpatia", alla 
complicità;: e il crescere, dipinto dopo dipinto, del suo "diario d' immagini", non sarebbe 
probabilmente comprensibile al di fuori di un' esigenza profonda di comunicazione, di dialogo. 
Al pari di un ragno ansioso e paziente (il suo stilema espressivo, non dobbiamo dimenticarlo, è di 
ascendenza proustiana), il pittore pugliese-romano da lunghi anni fila una sua rete dorata e vischiosa 
di segni, di colori e di immagini: distillando, in margine alla sua ricerca iconica, fogli di taccuino 
lievemente, dolcemente ossessivo. Solo lasciarsi prendere da questo rêve labirintico, afferrandone 
insieme lo spessore, la durata reale, può permettere di accostarsi in modo giusto al cuore della sua 
vicenda creativa.   
Il "canto del colore" di Balsamo è la poesia interrotta di un segreto continuo, l' accensione 
intermittente, il lampo di una luce che aiuti a vedere più che non permetta il giorno turbato dal tanto di 
notte che contiene. Il lampo isola la notte, ma la legge del lampo nella sua ripetibilità; istantanea, 
contiene già; il recondito di un discorso. L' artista può vedere collegando le visioni sucessive in un più 
vasto, perchè più intenso, vedere: appunto intensificato dal sommarsi sucessivo, replicato, dell' is-
tantaneità;. è qui che l' opera della mente occorre nella sua naturale costitutività;: essa ricorda la 
visione come il cielo rocorda il fulmine per il solo fatto che questo lo ha percorso, e quasi precorso.   
Il ricordo di Balsamo viene sempre da lontano. è un ricordo finale, ispirato, inventivo per tanto può 
inoltrarsi in una zona folta: tocca il limite senza esserlo veramente, perchè è un limite revolutivo, in uno 
stato di crisi. è la crisi di un' azione che sente dentro di sè cambiare senso. Balsamo. Già; con il 
ricordo, sente l' opposizione a sè stesso nascere e crescere in sè stesso. Mentre egli presume nel 
ricordo uno specchio sempre più esclusivo (che - non si dementichi - non è quello narcisistico che 
agisce in taluni artisti come cupio dissolvi), gia è avviato verso l' altro da sè in questa analogia 
revolutiva della propria azione penetrante.  
Col ricordo Balsamo non solo penetra in sè, ma sente soprattutto battere alla porta, sempre più fitto, 
sempre più urgente, fino all' impazienza, l' Altro, seppur avvicinatosi con passi felpati, magari 
mimetizzatosi in una simile liquida interiorità;. L' altrui è in questo liquor più fondo dell' essere: quasi il 
liquor dell' incandescenza agitata, dantascamente, "nel lago del cor", e che debba unicamente 
coagularsi. Avere una forma è essere altrui in maniera fittizia e diremmo analogica la propria azione - 
questo è ricordare -, come il ramo si protende in foglie stormenti, in frutti in cui matura e cambia 
senso tutto lo slancio ascendente.
   
II. 
        La Koinè pittorica di Balsamo, pur con tutte le variazioni, gli influssi  e le venature più originali che 
si sono succeduti durante uno svolgimento di oltre quarant' anni di lavoro, prende avvio nella vasta 
area del Post-impressionismo. è un' area di non facile definizione e che ha dato luogo a molti 
equivoci, il primo e più grave dei quali è quello di considerarla come una conseguenza, e a volte 
addirittura una tardiva rinascenza, dell' Impressionismo; mentre sorprende, al contario, gli spiriti che 
ad esso reagirono e si opposero, non nell' intenzione di superarlo semplicemente, di andare "al di là;" 
rimanendo impressionisti di fondo, ma di creare altro dalla tavolozza impressionista, senza ignorarne 
però la grande lezione liberatoria.   
Oltre la solidificazione dei saggi en plei air - ad esempio - di un Monet o di un Renoir, molti altri 
elementi caratterizzano il Post-impressionismo. Ma essei variano secondo i paesi, gli artisti e gli 
anni; non serve qui tracciarne l' intera costellazione. Conviene accernarne ancora uno, che invece 
risulta pertinente a questo tentativo di delimitare il territorio culturale entro il quale cresceva la pittura 
di Balsamo. Quelle atmosfere e quei contenuti che hanno fatto definire "intimista" un certo modo di 
cogliere e riprodurre la realtà;, toccando parecchi protagonisti del Post- impressionismo, ne sono 
risultati quasi una definizione. Ma il termine intimismo appare molto impreciso, poichè esso 
suggerisce sensibilità; crepuscolari, ripiegamenti in se stessi e insomma quelle vaghe delicatezze di 
artisti a lenta circolazione sanguigna. Mentre nell' opera di Balsamo si tratta di altro. Dipingere gli 
interni, le stanze, la luce declinante in essa, la noia dei lunghi pomeriggi, l' accendersi delle lampade; 
o certe malinconie, certi struggimenti sul paesaggio tra il fulgure dei giardini e la monotonia dei campi 
coltivati: uno scandaglio che non va più entro gli spessori naturali, ma entro le stratificazioni della 
spiche; una spazializzazione del tempo e non dell' immagine del suo trascorrere: dipingere tutto 
questo è l' intimità; del Post-impressionismo di Balsamo, che non per nulla ha un' ampia escursione 
tra gli spiriti proustiani di Bonnard e le tristezze positive di Vallotton, tra gli intensi tremori di Vuillard e 
le splendide tessiture policrome di Marquet. Ma in Balsamo si trova, sopra questo e a volte 
preminente, una Stimmung di spirito nordico, che è cosa inusitata e rara per un pittore mediterraneo. 
C' è nella sua natura poetica qualcosa di non sempre gioioso e non sempre piacevole, ma di 
trattenuto, di triste, una sorta a volte di mistero, come un' ombra, un brivido, e una rêverie in più, che lo 
rendono ben disponibile ed accogliente. La prima provenienza sembra quella svizzero-tedesca e si 
può spiegare - se si vuole - con i soggiorni a Zurigo e ad Amburgo; ma c' è poi qualcosa che sembra 
provenire da Munch, qualcosa dall' Ensor paesaggista e pittore di nature morte. 
Queste arie nordiche però trascinano meno Espressionismo di quanto si possa credere e "leggere" 
nei suoi lavori giovanili. Come non è impressionista, Balsamo non è espressionista. Allora subito 
viene da chiederci che cosa sia. Ecco, proviamo una volta tanto di non voler etichettare a tutti costi la 
sua opera. 
  
III. 
        Dopo l' Autoritratto del 1959, che a ventiquattro anni rivela già; singolari doti di introspezione, 
sicurezza nel costruire, nel cogliere il tono giusto e quell' aria lieve di malinconia attraverso i mansueti 
occhi celesti; dopo gli anni romani della Scuola d' Arte di via S. Giacomo e le frequentazioni, più o 
meno occasionali, di Mario Nafai, Giovanni Omiccioli, Carlo Levi, Santa Monachesi, Ugo Moretti e 
Pier Paolo Pasolini, nasce d' incanto, ma assai densa di modernità;, la produzione pittorica di Balsamo.  
è difficile dire chi potesse stare vicino a quel giovane spensierato e colto, che affrontava la tela con 
sensibilità;, forza di tocco, prepotenza e delicatezza di vero, istintivo, dolcissimo "poeta" della vita 
quotidiana. 
In quadri come Paesaggio laziale del 1957-58, come Fiori del '59 e Ritratto di ragazza dell' anno 
appresso, così immediati e freschi ma pur meditatissimi, il colore vibrante usato in accordi, in fusioni 
o in tratti puri, vi appare tutto intriso di luce e costruisce solo per forza propria i volumi, i piani e lo 
spazio. La pennellata balsamoiana che forma per tutto il decennio '60 - '70 il fondamento del suo stile, 
è un elemento di tempra e delicatezze unite, e di rilevente originalità; formale. Non è impressionista, 
non sfuggente e metereologica, aerea, umida, attenta ai complementari, come quella di Pissaro, 
Sisley e Manet. Ma strisciata, densa e bellissima materia. Essa porta la luce, poichè il colore non è 
mirabilmente impastato, e l' opera ne diventa tutta luminosa, non per forti contrasti di chiaroscuro, 
bensì per trapassi da una luce più violenta a una più tenue, e da un' ombra più chiara a un' ombra più 
fitta. 
Paesaggio toscano del '63 è un coro sommesso di verdi, anzi un frascheggio di verdi, che dagli 
alberi si riflettono sulla terra, sui muri del cascinale, sulle nuances delle colline e sul cielo, una 
primavera fragrante e tiepida con la luce che dilaga nel mattino e si perde sulle nuvole lontane. Nelle 
tele Cortina del '66 - '67 e in Autunno ai castelli romani del '70 le pennellate - come ferite di luce che 
nervosamente costruiscono la visione - si fanno tanto libere da sfiorare quasi un' astrazione >fauve: 
colore puro, come abbandonato, ma costruttivo, diretto da una sapienza che tiene sempre a freno sia 
la descrizione fenomenologica, sia la sensualità; del magma quasi formale. 
Ma, in quello stesso periodo, quella pennellata rientra nel suo alveo più poetico e tracciare ne Il fiore 
rosso del '70 e ne La bottiglia bianca dell' anno seguente starti di colore che si sovrappongono e che 
producono una materia emozionata, un impasto cromatico in cui luce e spirito mescolati insieme 
palesano stesure in bilico tra impressione ed espressione, tra istinto e ricercatezza, tra gesto veloce 
e gesto lento. Sono anni fertilissimi e fitti di opere importanti eseguite con una tèkhne inedita: una 
maggiore definizione, un costruire l' immagine in modo più preciso, a volte persino su schemi e forme 
geometriche (Natura morta del '74), su tagli nitidi (Bel vasetto del '75), un' evidenza, una solidità;, una 
linea che segna i volumi, uno spazio non più suggerito ma realizzato e che s' inoltra nell' immagine, si 
tratti del silenzio abitato di un interno o della distanza suscitata nell' esterno da un corso d' acqua, 
da un' aia o da un prato.
  
IV. 
        L' impressione che fece a Balsamo la retrospettiva di Arshile Gorky alla XXXI Biennale di 
Venezia fu enorme: ma non provocò imitazioni, cambiamenti si rotta improvvisi. Quello che apprese 
dal maestro armeno-statunitense fu un principio dissociativo, come una gran ventata in un mucchio di 
foglie d' autunno. Non un elemento surrealista passa in Balsamo da Gorky, ma molto più 
sostanzialmente gli aggregati stretti e quasi a coltello dei suoi quadri vengono come scardinati, 
ventilati si direbbe, e in questa perentoria areazione perdono i colori scuri. Ma in realtà; il nostro 
pittore, in questo improvviso sconvolgimento dei suoi motivi iconici, ha individuato un nuovo principio 
formale, che non è la gamma dei colori chiari tout court.  
Con gli oli Inizio si scomposizione del '74, Paesaggio del '75 e Verso l' astrazione del '76, Balsamo 
capovolge la posizione del quadro, da fondale a schermo. La luce diviene la base espressiva della 
sua ricerca, non in quanto rappresentata, ma come germe attivo e operante.  è quella luce in 
trasparenza che rende diafani e timbrati i rossi e gli azzurri, che sospende come a mezz' aria i neri 
dei contorni delle figure geometriche, che permette le sovrapposizioni dei toni diversi come velature. 
è questa luce che attiva il dinamismo pacato della damiera minuta e orlata, assicura la validità; degli 
spazi vuoti come quella dei pieni, garantisce in controluce la spontaneità; del colpo di pennello, 
incancellabile e irripetibile come quello della pittura Zen.   
Quasi contemporaneamente, nei testi polimaterici, scompare ogni griglia grafica. Il colore si dispone 
secondo percorsi indeterminati, divaganti, seguendo il ritmo e gli andamenti del flusso emotivo; la 
texture è ricca e granulosa, al materia rifrange la luce conferendole brividi sottili. Nasce la stagione 
dell' informale segnata dalla serie delle "Decomposizioni", dove il colore vale nel suo spessore, 
nell'opposizione spesso brutale al fondo della tela grezza. La sua corposa e greve materialità;, il suo 
irrompere sulla superficie per effetto del collage, il suo porsi in disaccordo e comunque in 
opposizione con gli altri colori, instaura una dialettica vibrante e sonora, sia che si debba ad una 
"barbarica" manualità; o ad un grido dell' anima che vuole materializzarsi. 
Se la poetica dell' art autre porta alle estreme conseguenze l' assunto di una dimensione esistenziale 
dello spazio a temporalità;, il sentimento del tempo già; passa come una lenta corrente, con i suoi 
affioranti detriti, attraverso il ciclo "Le evocazioni" che Balsamo dipinge (con l' aiuto dell' aerografo) 
nel 1978-79. Adesso la sua dimensione si concreta in una profondità non mensurabile, che affiora 
verso lo spettatore come se sorgesse dalla memoria, certo senza la ricerca di nessuna 
tridimensionalità, ma anche senza stampagliarsi in superficie. Fra il fondo del quadro e la matassa 
dei segni non c' è apparentemente alcun rapporto; anzi il fondo è esso stesso figura cromatica, ma 
tra il fondo e i motivi segnici s' interfoliano come delle lamine di luce, come gli spessori di nebbia, o 
delle ombre vaganti e retrattili, umide dopo la pioggia, ma tra le cui stille s' insinua il sole.
  
V. 
        Guardando i quadri degli ultimi due decenni di Balsamo si ha la sensazione di entrare in un 
arcipelago, in una compenetrazione incessante della terra, del mare e del cielo. I fasci ondulati di 
colore posti generalmente ai margini della composizione, non intendono - è vero - creare un effetto 
blot, ma suggeriscono una dissolvenza, una dilatazione anche prospettica, una cavità fluente che non 
si distingue dalla superficie, ma s' identifica con la sua qualità luminosa. Il rivolo di colore si dà come 
tragitto liminare, ma limpidamente esemplificativo, entro uno spazio la cui infinita e duttile struttura 
resta, benchè insondabile, intuibile attraverso ogni minimo e disadorno suggerimento organico 
del medesimo pigmento liberato. 
Nelle forme romboidali dei dipinti del '91 il colore è irradiante, per velature o per brillantezza, nudo e 
vegetante, meramente testimoniale di una tensione lirico-sensitiva, di cui s' impadronisce però un'in-
tuizione che sembra tolta allo stesso Mondrian. è una Erfahrung quasi mistica, ma in un misticismo 
che si risolve e si ambienta in un tipo di ipotesi metascientifica. è un pò allora come in Rothko, 
sebbene di quest' ultimo interessa a Balsamo soprattutto - tutto sommato - soltanto certa dimensione 
espansa, infusa nello stato imponderabile del colore, non invece l' ipnotismo, il magnetismo del 
campo cromatico, che soggioga con la grande dimensione lo spettatore. 
Se prima ho fatto il nome di Mondrian, per l' intuizione, che ha Balsamo, di una legge di equilibrio e di 
ordine, ma perrebbe fuorviante insistere nel paragone. Non di meno, in Mondrian questa intuizione ha 
una sede mentale, in Balsamo non sembra avere basi di pensiero pensato e di dimensione 
matematica: non è un' intuizione emergente e classica, come quella di Mondrian, bensì un' intuizione 
diffusa entro quel sentimento stesso di astrattismo organico, che resta il suo aggancio più profondo, 
la sua piattaforma di dialogo con un Kandinsky o un Klee.  
Il sigillo della riflessiva e silente pittura di Balsamo si snoda come una rete gocciolante al sole, levata 
dall' abisso dell' inconscio, in una più fitta tensione dei suoi nodi, dei suoi ammassi stellari che 
costituiscono, ondeggianti in densità diverse, nebulose di segni e colori, di cui l' occhio percepisce 
che esse rappresentano il confine etico del sentire umano, là dove questo si confonde con un fatto 
fisico di natura. L' artista vi percepisce i limiti della propria animalità, come il segugio che insegue 
tracce e odori perdentisi nel fondo degli heideggeriani "sentieri interrotti". 
Balsamo cede non tanto all' astrazione lirica, piuttosto, a una ripetitività controllata del gesto che 
appunto dalla ripetizione intesa come calligrafia, scrittura del segno e del puntinato al limite 
sorprendente di una bellezza in cui tocca il proprio fatto di coscienza, ricava il suo concetto di 
straniamento che ogni singolo contatto con la tela o con la carta, si direbbe, irrita e insieme calma 
rispetto alla misteriosa e altrimenti imprendibile sostanza del reale. Per la più recente esperienza 
creativa di Balsamo tanto più valgono le conclusioni delle deleuziane Diffèrence et rèpètition: "Il Tutto 
è uguale e il Tutto torna possono dirsi solo là dove si è raggiunto il punto estremo della differenza. 
Solo allora è possibile una sola e stessa voce per turro il multiplo delle infinite vie, un solo e stesso 
Oceano per tutte le gocce, un solo clamorore dell' Essere per tutti gli essenti. Ma occorre che per ogni 
essente, per ogni goccia e in ogni via, si sia toccato lo stato di eccesso, cioè la differenza li sposta e 
li traveste, e li fa tornare, ruotando sulla sua mobile estremità".    
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                 FLORIANO DE SANTI
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