Catalogo, in lingua italiana, a cura di Marisa Vescovo, della Mostra ai "Chiostri di S. Caterina - Oratorio de' Disciplinanti"
in Final Borgo, Finale Ligure (SV), agosto-settembre 2002, ed. Grafiche Aurora




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Testo critico del catalogo



"Il punto luminoso della fluttuazione"


         Il pensiero filosofico di Novalis è tra i più significativi e originali di tutto il moderno - ci dice Franco Rella - e rappresenta uno scarto significativo anche rispetto alla riflessione più avanzata del Romanticismo, che viene ripreso, e ripensato, proprio nei punti deboli della sua teorizzazione, quelli da cui sarebbe emersa la "crisi" romantica, e la sua trasformazione in un altro pensiero. La stessa opposizione, centrale per tutto il romanticismo, di "determinato" e "indeterminato" viene, da Novalis, interamente riconsiderata, in quanto da un punto di vista concettuale "l'espressione 'indeterminato'" è di fatto un concetto determinato, o addirittura "determinante". Come d'altra parte in ogni percorso conoscitivo, che sia al di fuori di un puro movimento logico, "noi cerchiamo ovunque l'incondizionato e troviamo sempre solo cose".

         L'indeterminato abita dentro la determinatezza della cosa: è l'invisibile che si rende visibile nei suoi limiti, portando la cosa stessa ad un punto di massima tensione e oscillazione. Esiste infatti una "fluttuazione" fra opposti, fra libertà e non - libertà, che costituisce lo spazio specifico della cosa: lo spazio desituato e atopico della cosa, in quanto è il suo luogo medio, il suo limite interiore, il "fra-mondo" che verrà ripreso da Klee, da Proust, da Rilke.

         "Fluttuare fra estremi", scrive Novalis, "che è necessario unire e dividere. Da questo punto luminoso della fluttuazione scaturisce ogni realtà - vi è contenuto tutto - oggetto e soggetto sono per esso, e non esso per loro. La dimensione dell'io, ovvero la potenza immaginativa, il fluttuare- determina produce gli estremi, fra i quali avviene la fluttuazione... fuori di questo ambito è qualcosa di assolutamente reale, poiché il fluttuare, la sua origine, è fonte, la mater, di tutta la realtà, la realtà stessa".

         Infatti senza divisione non c'è unione, ed è il "contatto" che stabilisce divisione e unione al tempo stesso. L'artista, quando è tale, impersona questa polarità, in quanto unione dell'eterogeneo, fluttuazione e gioco di estremi sentimenti e estreme tensioni. Quindi il punto luminoso della fluttuazione diventa la scoperta di un mondo nuovo: il mondo in cui agisce la "fantasia intellettuale", un intelletto fantastico, che è la ripresa della forza poetica dell'immaginazione in movimento, un senso meraviglioso che può riunire tutti i sensi, ed è attraverso tutto questo che noi percepiamo che il visibile è attaccato all'invisibile, il sensibile invece a ciò che non può essere sentito.

         Vincenzo Balsamo - in questa mostra allestita ai Chiostri di Santa Caterina, Oratorio de' Disciplinanti in Finale Ligure - presenta una serie di ventisei opere a olio, che appartengono agli ultimi cinque anni di lavoro e di ricerca, e una serie di lavori su carta, prevalentemente acquarelli, che vanno dal 1980 ad oggi.

         Basta accostarsi agli olii, o alle carte, per capire che la consapevolezza delle proprie possibilità non impedisce a Balsamo di assorbire certi influssi, specialmente provenienti dall'Impressionismo, dal Divisionismo (Pellizza e Segantini), dal Cubismo (Picasso e Braque) da Mirò, da Klee, da Tobey, da Kandinsky, da Gorky, da Twombly. Come questi suoi modelli Balsamo cerca un nuovo universo interiore, spesso con un rigore minuzioso e quasi scientifico, una nuova teoria formale degli elementi del disegno, la cui base, tuttavia, è legata sempre allo stesso concetto di unità spirituale ed irrazionale. Infatti l'arte moderna può nascere soltanto - diceva Kandinsky - dove i segni diventano simboli. La linea e il colore sono in questi lavori staccati da ogni intento esplicativo e utilitario, e trasferiti nel regno dell'alogico, sono promossi al rango di essenze autonome espressive, in cui non si elimina, deliberatamente, ogni continuità organica fra il sentimento e il simbolo che lo esprime, che hanno radici nella sua psiche individuale.

         L'automatismo grafico del Surrealismo, depurato da inutili psicologismi di maniera, è certamente una componente importante dell'opera di Balsamo: il cui segno-immagine è la trascrizione diretta di un dinamismo interno, la traccia visibile e incancellabile, che l'esistenza, facendosi, lascia nel mondo.

         Il Surrealismo però muoveva da una premessa di una oggettiva separazione e di un grande antagonismo tra l'universo del conscio e dell'inconscio, e di quest'ultimo postulava la libertà e l'autenticità che si rivelano nel sogno. Ciò che invece Balsamo rifiuta del Surrealismo, è un fenomeno falso, che mostra una cosa e ne significa un'altra. L'aspetto più sorprendente di queste immagini-segno è di esistere concretamente nello spazio e nel tempo senza essere esso, in sé, né spaziale né temporale, cosi come l'esistenza "fluttua" nello spazio e nel tempo, senza bisogno di porre problemi di dove si situa. Questi segni e questi colori alludono ad una realtà cosmica in movimento continuo, ad un agitarsi di tensioni, di correnti di forza, in un mondo perennemente in formazione, e quindi non determinato, né determinabile nella fissità delle cose, come voleva Novalis .

         Balsamo cerca così una dimensione infinitamente estesa ed animata del reale: quella degli embrioni formali, delle energie che precedono il costituirsi della materia, delle forze che tendono a diventare forme, dell'indistinzione che però non ha nulla di confuso, di oscuro, di temibile, perché si riferisce alla fase genetica, elementare, quindi più autentica e vitale, della realtà. Questo mondo, in continuo fermento, delle sue immagini-segno trova un equivalente anche nelle favolose figurazioni preistoriche e protostoriche, dei popoli primitivi, e talora, dei bambini, analogie che vanno però circoscritte nei limiti di un atteggiamento magico di fronte al reale.

         Balsamo non pensa alla nascita storica del mondo, ma al suo continuo rinascere, nell'esistenza di tutti i giorni.

         Il luogo dove l'immagine-segno si determina, in tutta la sua concretezza lineare e coloristica, è indubbiamente il luogo dell'indistinzione, della fluttuazione luminosa, ma anche dell'identità psico- fisica, quello che siamo soliti chiamare il luogo degli istinti. Rimane comunque sempre da spiegare che cosa sia questo luogo magico, questo humus straordinariamente ricco di umori e incredibilmente fecondo di immagini, che noi chiamiamo istinto. Per il nostro artista non è certamente materia umana allo stato grezzo, ma un agglomerato compatto di remotissime esperienze sedimentate e macerate dal tempo. Qualcosa di quelle disfatte e lontane esperienze si rivela in questa scrittura-pittura, che talora lascia intravvedere, come al microscopio, residui organici, tracce di pesci, di insetti, di erbe, di cui è composto il loro antichissimo impasto.

         In quell'humus fitto di immagini in potenza, sta l'origine stessa della nostra sensibilità, della nostra capacità di sentire le impronte del mondo, e di trasformarle in qualcosa di umano. Nella globalità esistenziale di spazio e tempo l'"io" dell'autore si estende, senza trovare barriere, e come ormai tutti noi, compie una marcia verso il nulla, ma occupare il nulla, riempirlo, significa annullarlo come nulla, e annullare il nulla significa dare esistenza alle cose, tesserne e ritesserne, ossessivamente, il tessuto organico. Se l'immagine-segno di Balsamo organizza e rivela gli strati profondi e vitali dell'esistenza, la sua pittura e la sua grafica mettono a nudo, e sensibilizzano, i centri nevralgici della percezione, e non nel senso di condizionarli a uno schema, ma, al contrario, nel senso di offrire nuda all'esperienza, affinché non perda nulla della sua leggerezza, la parte più viva e allarmata del nostro essere, sia psichico che fisico. Si tratta dunque di una pittura "pittografica", in quanto non coglie il contenuto di conoscenza chiuso nel guanto della parola, come nella scrittura cinese, ma la sua apparenza fenomenica, il suo essere suono e figura.

         Il lavoro di Balsamo è legato a situazioni dove, come nell'informale, la realtà rivela la sua assenza, senza gerarchie tra umano e non-umano, quindi tutto viene travolto nello stesso caos organico, connotato da una ripetizione ossessiva. Negli anni Settanta-Ottanta si notano una serie di prese di posizione degli artisti a favore dell'autonomia dell'opera e dell'ineffabilità dell'arte contro lo sperimentalismo a tutti i costi di alcuni. Si è arrivati dunque a dire tutto e il contrario di tutto. Il XX secolo è stato un secolo romantico, legato ai problemi della psiche, e ha mirato in sostanza a far sua un'ideologia del potere, tipica del periodo illuminista: ovvero come rendere estetica la visione della realtà, come darle corpo: è un compito indubbiamente difficile, da "iniziati", e, come diceva Novalis, bisogna essere in grado di salire sul trono, perché il mondo deve tendere a una perpetua rivoluzione, magari sottoforma di una autosuggestione. L'uso magico-artistico della conoscenza sensibile, estremo punto unificante della filosofia romantica, ha agito come telecomando nella nostra visione della vita. Se guardiamo alla storia del pensiero europeo, magari con lenti siglate Benjamin, ci accorgiamo che esiste, accanto ai territori della crisi e del nulla, un territorio in cui vegeta ancora "qualcosa", e da questa realtà minima si costruisce un diverso rapporto col mondo della rappresentazione, guardando all'inconscio freudiano, non inteso come mitico regno delle madri, in cui si affidano verità eterne, bensì nel suo effetto di "conflitto" che attraversa il linguaggio. C'è all'interno del moderno - e Montale ce ne ha dato una misura altissima col suo discorso poetico - un punto di scarto: si tratta dell'affioramento del pensiero della trasfigurazione che ci fa scorgere un mutamento che va ben oltre l'orizzonte di morte del caduco, dell'effimero, della perdita.

         Se si guardano le carte di Balsamo degli anni Ottanta - si vedano: "La lettera" (1980), "Percezioni" (1981), "Evoluzioni" (1981), "Visione scomposta" (1982) - vi troviamo una difficile operazione di equilibrio: tra colore, segno, e immagine, tra temps perdu e tempo ritrovato, tra autobiografia intimistica, confessione, cronaca, tra vita vissuta e gioco da vivere tra terra e cielo, tra racconto e sottile romanticismo, che si oppone all'idea di "consumo". In questi acquarelli la stratificazione è triplice: un rilievo simbolico e interiore, un livello di registrazione dei fatti psichici, un livello pittorico. Ma questi tre stadi del mondo di Balsamo rimangono tre, sono tre momenti di una poetica, e per fortuna non si annullano in un discorso cumulativo e inutile. Proprio perché ogni fatto resta isolato, noi troviamo una lettura individuale. Balsamo in questi suoi lavori non è più uno studioso del segno, ma un collezionista, uno schedatore che costruisce così il suo linguaggio. Tempere come: "Profondo blu" (1999), "Aria" (2000), "Scomporre un'idea" (2001), virate sui toni freddi del blu o del viola, sono percorse da segni minuti e vibranti, tutti autosimili, essi hanno come obiettivo quello di esprimere il pulsare della vita, di costruire un "diario" del formicolante ritmo urbano (l'artista ha vissuto a lungo a Parigi e a Roma), e evidenziano il senso di angoscia generato dalla megalopoli.

         Tutte queste carte vogliono dirci che il consumo sempre più vorace, il trapasso del messaggio nell'esistenza, non è un affogare nella banalità, ma un accrescimento del desiderio di arrivare al "bello", e se l'artista insegue la pittura fin dentro il segno e nel colore, non è per salvare l'arte dalla contaminazione, bensì per scoprirla, per vederla brillare in una inevitabile ibridazione delle cose e dell'esistere.

         Le immagini - non indenni da una amorosa memoria picassiana - non stanno mai su un piano, il colore si espande a diversi livelli, si rompe in mille tocchi minutissimi, sfarinati, pregni di luce, con una diluizione discontinua che non ne impoverisce la sostanza, anzi ne rialza i timbri, siano essi freddi o caldi.

         A Balsamo preme esprimere una realtà, che non sia solo mera frontalità del mondo visivo, ma sia anche sostanza stessa del sentimento, in una perenne trasformazione del sensibile che sia insieme trepida coscienza della vita e del meditare in silenzio. Se ci spostiamo fra i quadri della sezione dedicata agli oli - che in questo caso si distribuiscono su cinque anni di lavoro (1998- 2002). Le osservazioni che ci troviamo a fare riprendono ciò che abbiamo detto nella prima parte di questo scritto, ma pure per quanto abbiamo letto precedentemente nelle carte.

         Balsamo mostra, con chiarezza, di non ritenere essenziale per il suo percorso creativo arrivare ad una astrazione pura, di pure forme geometriche, e questo sta ad indicare che la sua disponibilità non è per l'immobile, ma per l'impulso vitale, per una continua vibrazione e cangiante situazione immaginativa. In questo modo l'artista partecipa al mondo, ne rileva la nascosta, intensa, forza poetica.

         Se guardiamo "Nel cuore, nell'anima" (1988), "Solstizio d'estate" (1998), " Fuga dalla realtà" (2000), "In ascesa" (2001), si sente che il colore è reso volutamente sensibile e soffice affinché si esponga alla "penetrazione" luminosa, la materia si dispone a diventare luce, e il pittore tende a dipingere la luce nella sua essenza cromatica, senza misconoscere una scorza di memoria di matrice ottocentesca e romantica. Si può così percepire una materia luminosa sospesa che si addensa e frana, per cui invece di esplodere nel cuore del suo fulgore, procede verso spazi imbruniti. Il rapporto pittorico anziché spegnersi si esalta per una vibrazione che cresce su se stessa, mentre il segno, all'improvviso, si smargina sotto il filtrare di un'emozione, e accende con timidezza un'aurora.

         Un'ansiosa inquietudine serpeggia però all'interno dello spazio, che si tinge di un'atmosfera di stupore per il guizzare imprevedibile dei bagliori che accompagnano lo svolgimento dinamico dei percorsi segnici. Le composizioni sono tutta una concatenazione di forme che corrispondono l'una all'altra in senso inverso. Su tutto si avverte il silenzio, il fluire dei ritmi dentro uno spazio che ovatta, che raccoglie, che placa. C'è un'accorata tensione nello svelare "le cose non ancora nate", come faceva Klee. Balsamo appartiene a quel ristretto gruppo di artisti, che si sono fatti conoscere nel secondo dopoguerra, e hanno condotto il loro lavoro, con sotterranea energia, verso una spiritualità che in altre epoche sarebbe stata definita religiosa , o mistica, mistica nel senso di instaurare un dialogo tra il visibile e l'invisibile, tra spazio e tempo, vivendo la necessità di rendere comunicabile una simile esperienza.

         La concezione della spazialità di Balsamo "Chiaro di luna" (2001), "Rapsodia in blu" (2001) si fa sempre più elastica e lontana da ogni concretezza "finita". Si direbbe che l'artista voglia perder- si nell'universo da lui stesso creato. E la parola "perso" sta nel senso di partecipazione più che di affondamento, cercando la sua identità con situazioni sottilmente interiori. Il problema del segno, per Balsamo, coincide col problema dell' IO. Senza segni non c'è io, non c'è il suo rapporto col mondo, il suo è un "io" che non ha confini, è fluttuante, si dilata e si contrae, coinvolgendo nel suo respiro: l'interiore e l'esteriore.

         I quadri di Balsamo si mostrano e si compongono, su campi di tensione che si originano dal rapporto evento-luce: sono nelle loro partiture superfici ipersensibili "rivelatrici" di eventi nascenti di luce e di colore, di affioramenti e di sprofondamenti, di avvicinamenti e di allontanamenti, di incipienti prospettive spaziali, sperse in un mare di luminosità - "Luci improvvise" (2002), "Dominante in rosso" (2002) - come avviene sui muri delle antiche ocrate case romane, o in un cielo veneto al tramonto.

         In questi ultimi lavori - virati sui toni del rosa, del rosso, del violetto - la forma non si sottrae più al pensiero, ma si fa avanti in un lampeggio, in un balenio, in un grumo di energia, come un lampo nella sua istantanea, ma illuminante, verità.

         Ciò che noi dunque percepiamo davanti a questi lavori è la lievitazione della materia sottile, la leggerezza, l'assenza di peso dell'immagine. Tutto sembra sostenersi magicamente, tutto sembra provenire, o galleggiare, in un mare profondo di luce. A questo punto occorre dire che la tecnica del nostro artista è stata aiutata a raggiungere questi risultati dalla sua conoscenza della pittura divisionista di Segantini, Pellizza, i quali riuscivano a penetrare nello "spazio interstizio", nel vuoto che sta dentro le cose (Segantini), e quindi mentre, all'improvviso, le loro superfici si assestavano, si formava su di esse come una crosta di perline trasparenti, fatta di fitti tratti di colori complementari accostati, capaci di condurci ad un confronto con il caos che sta sotto la pelle delle cose, circondate, a volte, da ombre misteriose e inquietanti. In quanto tentativo di riproduzione della luce e del colore il Divisionismo italiano è stato, per un verso, uno svolgimento diretto dell'analisi verista dei toni, dei valori cromatici, e dei loro rapporti di tensione. A differenza dei neo- impressionisti francesi che portavano tutta l'analisi sul fatto visivo, sulla logica geometrica, i divisionisti si interessarono anche dei legami tra la mente e la mano. I nostri artisti amavano la "sintesi", e perciò una visione universale, cosmica, in cui tutto lo spazio è luce, perché la luce è irradiazione illimitata, energia vitale che esalta le forme e la materia, e parla molto dello spirito.

         Anche Balsamo con i sui tratti fitti e sottili che creano il fondo del quadro ("Luci improvvise" 2002), crea pagliuzze mobili che fissano sulla superficie la vibrazione della luce, e la mettono a con- fronto con ombre dai contorni sfumati che si dileguano improvvise nello spazio, creando un senso di stuporosa sospensione. Ne consegue una minore materialità della forma. Si tratta di una luce che è soprattutto un alone magnetico, un dato fisico e un dato spirituale soggettivizzato, una condizione atmosferica, una condizione di vita. La luce è oggi il "volto immaginario del tempo", un volto teso a mostrare la prossimità di un "oltremondo".

         Se guardiamo più da vicino queste opere ci accorgiamo che le singole forme si trovano inserite in un impianto strutturale totalmente astratto, sicché la ripetizione precisa di ogni singolo nucleo espressivo, dentro la stessa composizione, toglie alle forme la loro unicità temporale e storica, la sottrae all'incessante fluire del tempo, e la pone su un piano immateriale e trascendente. La luce e il colore diventano ora un paesaggio necessario per una rivalutazione dell'immaginario, realizzato in linea con i caratteri della contemporaneità.

         Su questo lavoro però è ancora necessaria un'osservazione, la luce che Balsamo ci offre, è una luce che esplora anche il buio per trovare l'ombra, infatti la nostra, e la sua, verità non stanno probabilmente né nel buio né nella luce, né nel bene né nel male, come ha ben capito il poeta Paul Celan, che ci invita a guardare nel vuoto per cercare di scoprire in esso le striature d'ombra che vi sono celate e, attraverso di esse immagini, forme, figure, che ci conducano più prossimi all'enigma che vogliamo esplorare. Forse è proprio questo il compito dell'arte, in un mondo in degrado, dove è reso risibile l'uomo ormai avvolto dal manto greve della sofferenza.

                                                                                             Marisa Vescovo
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