nel novembre-dicembre 1989, ed. Galleria "Campaiola". |
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Testo critico del catalogo Al di là dell'impression e del mosaico di echi che vi si fonde
compandiariamente, si isola un altro indizio, ed è il linearismo con cui Balsamo sposta
nella banda del perspicuo l'autografia dell'immagine e che va a connotarsi
nella storia della linea, lungo il percorso che dall'Oriente di Utamaro e
Hokusai ha portato questo vocabolo di pura invenzione, e tuttavia infinito
generatore di forme, a Gauguin, a Klimt, a Beardsley e attraverso tali
importatori e interpreti nell'arte contemporanea, che con la sua estetica
dell'inventario l'ha estrapolato dal contesto oggettuale e cromatico
conferendogli il diritto vertignoso dell'assolo.
Le due coordinate, se non la chiave del senso, svelano il senso del processo
ideativo di Balsamo; che si origina dal Klee di ritorno dall'Egitto dalle
memorie di calligrafie fantastiche e di ornati islamici che ne riporta, e si
sviluppa per deviazioni che altri echi culturali imprimono di conserva con altre
insorgenze psicologiche. Nella textures di "Ad Parnassum", nell'intrico
prospettico della "Strada principale e strade secondarie", nei paesaggi con
case e alberi sunteggiati la linea di Klee affiora dalla terra, sotto l'epidermide
fenomenologica abrasa, e segna le fibre, la trama del substrato, le forme
archetipiche che il disegno infantile, nel suo perspicace inganno, presagisce.
La linea di Balsamo tende anch'essa alla sintesi astrattiva delle forme, ma
non la programma, non la pone all'inizio: inizialmente è inconsapevole, come
presa da un'energia lenta, da un moto inerziale ed erratico. Non incide; non
riga: sorvola: il fondo è solo un pianeta che assicura l'orientamento, un teatro
di evoluzioni che non influenza. Senza perciò trasfigurare in pura e immota
spazialità: Balsamo ha concepito una superficie dove le tele vergini, le iute,
le canape e le garze di Klee traslitterano in tessuto pittorico, il divisionismo e
la "semina di punti" di colore trasmodano in finissimi orditi cromatici che
richiamano l'esattezza e la proziosità di retini sovrapposti.
È un fondo che non contempla valori impressionistici: irretiti dalla
regolarità della tramatura, contrasti e variazioni di tono più che stimoli visivi
e mutevolezza atmosferica generano una luminosità diffusa, emessa, si
direbbe, da una combustione quieta e uniforme; una luminosità che non si
riverbera, non intuisce un rapporto di interazione col piano disegnativo. Al
passaggio della linea il tessuto cromatico sembra scandirsi in zone e a volte
trascolora fino alla fosforescenza, come seguendo un chiaroscuro di
temperature. In realtà la superficie resta al di qua d'ogni dinamica e declina
la vita stilizzata d'un simbolo. Anche quando la linea chiude delle forme e
ritaglia zone di colore in contrasto, non va registrato un evento sul fondo:
quelle forme si stampano su di esso come ombre di eventi che si compiano
in alto. La modulazioni e le partizioni della superficie, a ben vedere, nascono
da un sentimento edonistico del colore esaltato dal virtuosismo tecnico;
costituiscono una "calligrafia" cromatica parallela alla calligrafia disegnativa.
Comincia qui a delinearsi la chiave di lettura di queste tavole arcane.
Balsamo sfugge al suo modello, alla pittura conoscitiva e cerca se stesso
nella pittura psicologica; sperimentando una prospezione della realtà,
rifluisce nel riflesso che essa proietta nell'interiorità desiderante e magica.
Al confine di quel soggettivismo che ha identificato e immesso l'arte
moderna nella traiettoria della dissoluzione, Balsamo riconosce
l'imprescindibilità della dialettica tra istinto e regola, analisi e sintesi della
forma, natura naturante e natura naturata. Come nel colore resta, in ultima
analisi, classico, se si pensa alla distanza che lo divide dalle tache; così
nella declinazione grafica si sottrae alla gestualità impregiudicata, al suo
effetto poeticamente riduttivo e all'incombente sbocco nei grafismi allucinati
di Michaux. La linea - in cui si riflette compiutamente la poetica. Arieggia una
melodia modulata su una polifonia cromatica di fondo, ma svolgendosi
supera la valenza psicologica. Di fronte all'infinito, al "cattivo infinito"
hegeliano, della linea divagante e inarrestabile, Balsamo sperimenta che la
sola via d'uscita è il ritorno al finito, e ritrova le forme in formazione di Mirò e
le forme semplici e i simboli e i segnali di Klee: figure aurorali o superstiti
che reinterpreta su uno sfondo proprio, individuale nella memoria; in una
memoria decantata, spedita al di là delle emozioni come quella fissata sui
tappeti e sugli obelischi.
Balsamo, infine, illumina un luogo della mente in cui l'oggetto, il temibile
Nicht Ich, e il molteplice moto della vita pervengono in forme che suscitano
una visione prospettica imperturbata. Questo luogo è la pittura, intesa come
costruzione autoriflessa che sottomette il reale alla logica della linea e del
colore in modo da inoltrarlo in una dimensione estetico-formale che lo
esponga a una percezione più alta: il tempo, ridotto a freccia del tempo
incoccata alla confluenza di due calligrammi ascendenti, viene neutralizzato
e, perciò stesso, percepito filosoficamente. È un'ipotesi che forza antiche
antinomie, ma che adombra qui una sua plausibilità. Del resto, Broch ritiene
che il pensiero segua schemi spaziali; e Kandinskij insegna (al Bauhaus)
che le radici dei sistemi numerici si incontrano con le radici delle forme
artistiche. Intendo dire che il pensiero pittorico che pensa se stesso,
polarizzato dalla dinamica delle linee e dalla chimica del colore, può
produrre ugualmente forme significanti; e che l'aver saggiato tale ellissi è un
tratto di Balsamo che impegna il giudizio, insieme con la tensione qualitativa
da inserire nelle cronache attuali come un sommesso "rappel à l'ordre". | ||